lunedì 16 luglio 2012

Al mio tre... tutti sposati!

Succede questo, un fenomeno a me ancora oscuro. A un certo bel punto, se ti trovi a vivere in provincia-parlo della mia provincia, non so dire altrove- ti volti e vedi che tutti intorno a te sono improvvisamente sposati/conviventi/in procinto di figliare/in procinto di sposarsi/in procinto di annullarsi.
Tutti tranne me, ovvio.
Mi spiego meglio: a un certo bel punto-e questo bel punto avviene quando appare il 3 davanti alla tua età-accade che i tuoi amici di vecchia data, amici più recenti, conoscenti, amici di amici sono tutti e dico tutti in un qualche modo, in una qualche forma, SISTEMATI. Sì , ho proprio scritto sistemati, parola orrenda.
È come se fino ai 30 fosse concesso divertirsi, cambiare fidanzato/a, ancor meglio non avere storie cosiddette serie, ma poi, appena superi i 30, in modo sistematico, ordinato, robotico si batta in “ritirata”. Perciò vedi questi 30enni mutare in modo mostruoso e comportarsi da 75 enni pensionati, l’eterno single che improvvisamente fa il fidanzatino d’America, il puttaniere conclamato che diventa una persona di “spessore”, il cesso mostruoso che trova la sua bella, la zoccola del paese che si fa ingravidare e così via.
Ti devi fidanzare, ti devi sposare, devi fare un figlio, il minimo sindacale è essere fidanzati, e, novità delle novità che ha sconvolto non poco l’allegra cittadina, si può anche andare a convivere-solo per veri coraggiosi-. Per tutti gli altri si continua  a stare con mammà.
Attenzione: non voglio dire che sia strano che tra i 30 e i 40 anni-estendo un po’- si pensi alla famiglia, a una vita di coppia più strutturata, ai figli. Tutto ciò è assolutamente normale e naturale, sano direi-anche se c’è chi di questo, nell’altra città, si stupisce. Quello che mi turba è l’automatismo che scatta da quelle parti.
Ora, è ovvio che questo bizzarro fenomeno salti agli occhi perché io ho fatto esattamente il contrario e inevitabilmente ti senti un pesce fuor d’acqua. Ma sono andata a fondo della questione. E quando vai a fondo poi capisci che beh, tutto sommato, non mi va poi così male.

4 commenti:

  1. Gentile vintaZ, da qualche giorno ho scoperto il tuo blog e – lo devo proprio ammettere, anche se fa tanto complimenti per la trasmissione – mi piace tanto. Sembrerà strano, ché sarei un maschietto (per chiarezza, non un maschione, quindi sto proprio dalla parte opposta alla tua), ma mi ci ritrovo: non proprio in tutto, eh!, ma in buona parte. Stamattina mentre facevo il mio lavoro da trentenne irresponsabile e senza responsabilità, ripensavo casualmente al tuo blog e mi è venuta in mente questa storiella. Non so come mai mi sia venuta in mente: sarà che anche la praticante (cattolicissima) oggi se l'è svignata con due giorni di anticipo, perché deve andare in vacanza da sola, ma col moroso, lasciandomi così – come ogni agosto – sempre più solo a gestire le mie vicissitudini e quelle degli altri, proprio di quegli altri che qui, nella piccola provincia, han un/a partner, famiglia, moglie, mariti e prole e non han tempo, quando l'italiano sa che deve andare in vacanza, per quelle cose, che inevitabilmente divengono “il resto”, una volta che sia scattato il “Via!”.
    Ed allora faccio questa cosa, che generalmente non è considerata educata, a meno che non si tratti di un blog importante e seguitissimo; la faccio comunque con le migliori intenzioni, con l'auspicio che il blog divenga appunto popolarissimo (così anche io non ci faccia la figura del cafone). Si chiama “Lo zittello inacidito” ed è naturalmente un atto unico, in contrapposizione intellettuale con le plurime scene, che discendono dall'applicazione della regola del 3 (che poi è anche una regola ambigua).
    Io quel “certo bel punto”, di cui dici, me lo ricordo assai bene: era il 9 ottobre dell'anno scorso alle ore 17.26 ed io mi trovavo nel solito posto dove, chi mi cerca la domenica, è certo di ritrovarmi. E fu una folgorazione: compresi all'improvviso che ero rimasto sostanzialmente l'unico, ma non soltanto di quelli dai 30 in su, ma pure di una discreta quantità di quelli dai 27 in su (ed insomma, il margine del 10% si fa sentire in questo ambito), ad non essere “sistemato”. E fu una domenica sera bestiale, passata a rimuginare tutte le ragioni, giustificazioni, motivazioni e finanche le scuse che, da un paio di anni, mi sentivo propinare a fronte delle comunicazioni via via sciorinate della scelta, presentata come ineluttabile, di “sistemarsi”.
    Nel prosieguo, non vorrei sembrare maschilista, ma così come non posso sottrarmi dalle conseguenze di essere un maschio renitente, non posso non avere un punto di vista maschile su ciò e considerare con più indulgenza quando questa, che io chiamo epidemia, contagi una donna piuttosto che un uomo. Ed è certamente così, perché – checché se ne dica nella big city – la malattia si sviluppa sempre nelle solite quattro fasi: sistemazione, gioie della routine, filiazione, nuove gioie della routine. Dicevo, sono più indulgente verso il gentil sesso, perché la prima e terza fase, le trovo completamente naturali. Andiamo con ordine.

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  2. Chi non vorrebbe – siamo onesti: siamo brave persone, alcune anche timorate, ma siamo pur sempre esseri umani – essere l'organizzatore ed il principale ospite della più strepitoso party che sia mai stato organizzato? Chi non vorrebbe, magari dopo un periodo liceale così così, da ragazza/o-tappezzeria, essere al centro dell'attenzione di tutti, soprattutto di quelle/i che al liceo non ti filavano neanche di striscio e che, con l'università (continuiamo ad essere onesti), hai totalmente perduto di vista (ed un motivo ci sarà, se ti evitavano, darling)? Ed allora vai di rinfresco con duecento invitati o con cerimonia sobria per un ventina di persone, tra le quali non farai certo mancare (oltre a mamma, papà e le vecchie zie, che servono ad arrivare ai venti eletti, sennò manco quelli) le due compagne di classe che non sono e non sono mai state tue amiche, ma alle quali – senza proferir verbo – col solo sguardo potrai dire: “Io sì, e tu no!”. E poco importa che lo sposo sia un vespasiano o suo padre, alla cerimonia, sembri Joe Pesci in una parodia di un film di mafiosi italoamericani: il vero orgasmo non è alla prima notte di nozze, ma in quelle piccole cinque monosillabiche parole: “Io sì, e tu no!”. Puntualizzo: è così anche per gli uomini, me per primo: dalle elementari mi porto dietro la maledizione di Da.B., che era il più “figo” fin dall'asilo, quello a cui le bambine di sei anni scrivevano i bigliettini “Vuoi stare con me? Sì No”. Ora lui, come la maggior parte dei nati-fighi, penso faccia il manovale e continui a fumarsi le canne come un qualsiasi brufoloso quattordicenne (nulla di male in ciò, ma a trent'anni te le fumi in maniera diversa, se permetti). Ebbene, quanto darei io oggi per incontrarlo un pomeriggio, in cui non ho niente da fare (come questo; lui certamente non avrà mai niente di importante da fare) e potergli dire: “Vado dal concessionario a prendere il Porsche nuovo: vieni anche tu? Ah, no, non te lo puoi permettere”! (Tralasciamo che non me lo posso permettere nemmeno io: scusate, il sogno è mio).
    Ma ritorno a bomba. Come la prima, pure la terza fase è totalmente naturale: santo subito l'istinto materno, che ci ha condotti tutti in questa sana, sobria ed edificante società. Tuttavia è la natura: non possiamo opporci ad essa, se non con uno sforzo logico ed intellettuale onerosissimo, un comportamento che sarebbe quasi materno. Peraltro, si sa che spesso le madri sono egoiste, ed anche ciò è naturale: è una forma di amore, che discende dalla consapevolezza di averti generato. Quindi non biasimo la filiazione dal lato femminile, se non per quella porzione dell'atto generativo che impone la partecipazione del padre. Sono sicure tutte queste trentenni che i loro mariti, compagni, padri dei loro figli davvero siano pronti a questa età? Che in loro vi sia un briciolo di spirito paterno? Grazie al Cielo (ed è per questo che forse dobbiamo credere), la medicina consente di avere figli come minimo fino a quarantanni e di vivere fino ad ottanta/novanta. Dovete – lo dico alle trentenni – davvero correre il rischio di essere co-genitori con un tizio, la cui preoccupazione maggiore fino al matrimonio è stata quella di non essere riuscito a comprare Sheva al Fantacalcio?
    Sia ben chiaro: io non giudico negativamente chi effettua la predetta scelta allo scoccare della mezzanotte; esprimo il mio punto di vista dalla visuale di chi è già a mezzanotte ed un quarto e non è scattato, come un novello Bolt, al dodicesimo rintocco.
    Ma sono già lungo e queste erano soltanto due delle quattro fasi: quelle che io non condivido, ma comprendo.

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  3. Per fortuna, la seconda e la quarta fase sono molto simili tra loro e possono essere trattate unitariamente ed in brevità. Sì, perché quello che accade dopo quei due eventi epocali nel decorso della malattia è più o meno sempre lo stesso. Dal lato uomo: ingrassamento, taglio di capelli alla Andrea Balestri nel Pinocchio di Comencini, comparsa di patologie che precedentemente avevi sentito nominare soltanto in relazione allo stato di salute dello zio vecchio, sciattaggine nel vestire e tirchieria.
    Dal lato donna, purtroppo, a mio avviso, la situazione è ancora più tragica: progressiva sottomissione della moglie al marito stile oltranzista musulmano (perché alla fine anche le femministe indipendenti più accanite si ritrovano a pensare: “È lui l'uomo ed è lui che deve tirar fuori le palle col vicino che ha tagliato la siepe così bassa!”); affermazioni allarmanti del tipo “Mi piace stare a casa a cucinare”, “Ti ho stirato la camicia” e “Devo lavare i pavimenti, perché son già due giorni che non li lavo”; abbonamenti a riviste a iosa; in alcuni casi, pinguedine e, soprattutto ed ineluttabilmente, perdita di quel sensualissimo senso di irrequietezza che faceva di lei una ragazza, come direbbe Piperno, desiderabilissima.
    Ma ciò che mi sconvolge veramente – d'altro canto, temo di essere una sorta di liberale, quindi ciascuno uti singulus, per me, può autodistruggersi come meglio crede – sono gli effetti sul versante della coppia. Che tu sia amico di lui o di lei o di entrambi, questo non muta alcunché. I “sistemati” finiscono in un iperuranio, al quale i “non-sistemati” non hanno accesso. Ignoro se sia un mondo migliore o peggiore del mio: so soltanto che, per ora (ma è difficile sfuggire all'epidemia), non voglio farne parte. Un mondo nel quale, se vuoi andare a prendere una birra (una birra, cazzo, mica una cena alla Pergola!), devi organizzarti il lunedì per il sabato successivo con lui/lei/loro. Un mondo nel quale la seratona tra amici finisce inevitabilmente con una partita a Monopoli. Un mondo nel quale i valori assomigliano spaventosamente al programma elettorale della Camusso (con buona pace della classe operaia): posto fisso, tredicesima, quattordicesima e 40 giorni di ferie l'anno. È di tutta evidenza che con siffatti presupposti un qualsiasi dialogo con i “non-sistemati” sia precluso all'origine. Alla considerazione “Adiamo a Cervia perché il mare fa bene ai bambini”, tu non puoi validamente replicare: “Bello, sveglia! Il mare c'è anche a Honolulu”; insomma, perdi in partenza, perché sono di un'altra categoria, la categoria delle responsabilità, dei problemi ed anche dei piccoli, ma importanti litigi: il divano è meglio bianco o rosso? Non hai tagliato l'erba del prato? Hai rovesciato tu il Ronco sul finto-parquet in salotto? Ma poi, chi ha queste responsabilità e questo giudizio per scelte così fondamentali, alla fine della settimana fa sempre pace: spesa all'Iper, concime ai gerani, pizza soltanto io e te e trombatina. Finché ancora ce la facciamo.

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